martedì 31 ottobre 2017

TRADUTTORI: LORENZA BRAGA

Abbiamo il piacere di condividere con Voi, l'intervista che la traduttrice Lorenza Braga ci ha concesso.


Ciao Lorenza, grazie per aver accettato il nostro invito. Raccontaci il tuo percorso di studi.

Mi sono laureata in Lingue e Letterature straniere all’Università Ca’ Foscari di Venezia, con una tesi in letteratura angloamericana. Poi ho intrapreso altri percorsi e lavorato in altri settori, ma il mio amore per la letteratura è sempre stato così forte che mi ha spronato a cambiare vita e quindi, diversi anni dopo la laurea, ho deciso di frequentare un corso specifico di traduzione editoriale, il corso Tradurre la letteratura presso la Fondazione San Pellegrino di Misano Adriatico, che mi ha dato le basi per trasformare in un lavoro a tempo pieno quello che fino a quel momento era stato quasi solo un hobby.

Come è nato il tuo amore per la traduzione?

In realtà è cominciato molto presto, già alle medie mi dilettavo a tradurre i testi delle mie canzoni preferite, in modo da poterle cantare in italiano ma rispettando ritmo e significato. Poi un giorno, nei primi anni delle superiori, stavo leggendo un romanzo di Stephen King, quando mi imbattei in un’incongruenza. Ora non ricordo né il romanzo né il dettaglio, ma so che era un particolare troppo italiano per l’ambientazione americana della storia. Così ebbi una folgorazione: quello che stavo leggendo non era il “vero” romanzo di Stephen King, ma quello che aveva scritto il suo traduttore. Da lì ho iniziato a prestare molta più attenzione alle traduzioni, ai nomi dei traduttori, a controllare se c’erano nomi di traduttori ricorrenti che incontravo nei romanzi che più mi piacevano. Ancora non sapevo che sarei finita a tradurre anch’io, ma quella porta si era aperta.

Come è iniziato il tuo lavoro di traduttore editoriale? Ricordi qual è stato il primo libro che hai tradotto?

In realtà ho iniziato con i fumetti. Collaboravo già con una casa editrice come adattatrice testi e a un certo punto mi proposero anche una traduzione. All’epoca era un lavoro saltuario, che consideravo poco più di un hobby, ma mi è servito come punto di partenza.
Il primo romanzo che ho tradotto, invece, è stato Prigioniera del cavaliere di Meriel Fuller, uno storico della collana Grandi Romanzi Storici di Harlequin Mondadori (ora diventata HarperCollins Italia). Non è certo un capolavoro, ma ci sono molto affezionata.

Acquisti i libri che traduci? E che sensazione provi quando vedi il tuo nome in qualità di traduttrice?

In genere non li acquisto perché un paio di copie le ricevo dalla casa editrice, come da contratto. Però mi è capitato di comprarne da regalare ad amici e parenti, che erano curiosi di leggere i miei lavori. La sensazione di vedere il mio nome indicato come traduttrice è indescrivibile. Non ho figli, ma ogni volta che lo vedo, specie con AmazonCrossing che indica il nome del traduttore in copertina, provo quello che forse è l’orgoglio di un genitore. Per questo, scherzosamente, mi piace chiamare le mie traduzioni “i miei pargoli”.

Preferisci una traduzione più letterale o creativa? O un mix delle due a seconda dei casi?

Non c’è una traduzione che preferisco, è il tipo di romanzo a richiedere di volta in volta un approccio più letterale o uno più creativo. L’ideale è sempre un buon compromesso tra aderenza alla lingua originale e fluidità della resa in italiano, ma non sempre è possibile, soprattutto se ci sono giochi di parole o sfumature impossibili da rendere. Allora è inevitabile preferire una traduzione libera e creativa, perché prevale l’esigenza di mantenere l’effetto che l’autore aveva avuto intenzione di suscitare nel lettore, anche se la resa stravolge il testo. E ovviamente, la correttezza in italiano deve sempre avere la precedenza sulla traduzione troppo letterale.

Raccontaci un aneddoto, bizzarro, incredibile legato al tuo lavoro.

Credo che l’episodio più bizzarro sia stato proprio il mio esordio. Era appena uscita l’edizione italiana di un manhwa che amavo moltissimo, che avevo già letto in edizione inglese e anche francese, e pure in traduzioni amatoriali. Nella versione italiana c’erano un sacco di imprecisioni, si percepiva che chi l’aveva tradotto l’aveva fatto in maniera meccanica, superficiale, senza approfondire la terminologia più adatta al tema e all’ambientazione. Ho quindi scritto alla casa editrice, segnalando tutti i punti che secondo me andavano riveduti e migliorati nel volume successivo. La mia lettera era così appassionata che mi hanno risposto proponendomi di curare l’adattamento testi del successivo. E così ho iniziato a collaborare con loro.

Hai tradotto alcune autrici come Terri Osburn, Tracy Brogan, Elle Casey, Brenda Joyce, Elizabeth Boyle, Eva Leigh e tante altre. Hai mai avuto la possibilità di chiacchierare con qualcuna di loro?

No, in genere non ho alcun contatto con le autrici che traduco. A volte mi capita di trovare dei punti poco chiari, ma di solito mi confronto con la mia editor e risolviamo insieme i dubbi, senza interpellare le autrici.

Riguardo alle traduzioni qual è il tuo genere preferito? C'è un genere che non accetteresti mai di tradurre? E perché?

Ovviamente amo i romance, altrimenti non li tradurrei perché a volte tendono a essere ripetitivi, quindi se è un genere che non piace, diventa pesante lavorarci tutti i giorni. Di solito preferisco i romanzi frizzanti, quelli che hanno dialoghi brillanti e battute complicate da rendere, perché presentano una sfida che dà molta soddisfazione se si riesce a riprodurre l’effetto anche in italiano. Da lettrice amo molto anche i romanzi fantasy, l’horror e la fantascienza, ma non mi è mai capitato di tradurne, quindi non so come me la caverei. Invece vorrei evitare i gialli, ma solo perché non ne leggo molti e quindi non padroneggio bene il linguaggio tipico del genere.

Sappiamo che lavori come traduttrice per la HarperCollins Italia e che hai lavorato come co-traduttore per la Piemme. Molti traduttori sognano di poter lavorare per una grande casa editrice italiana ma pare sia molto difficile (se non impossibile essere presi in considerazione). E' davvero così? Come ci sei riuscita?

A dire il vero per me non è stato poi così difficile, ma si è trattato più che altro di un colpo di fortuna. Ho partecipato a un concorso di traduzione indetto dalla HarperCollins Italia (che all’epoca era ancora Harlequin Mondadori) e ho ricevuto la menzione d’onore. Come premio mi è stata proposta la traduzione di un romanzo, la traduzione che ho consegnato è piaciuta e ho quindi iniziato a collaborare con loro in maniera continuativa. Per la Piemme si è trattato di farsi trovare nel posto giusto al momento giusto. C’erano tempistiche strette di consegna, a ferragosto, e un solo traduttore non sarebbe bastato, così l’agenzia di traduzione che si occupava del progetto ne ha affidato una parte a me perché aveva apprezzato la mia prova e io ero disponibile per farmi carico del lavoro nei tempi richiesti.

Girovagando per la rete si trovano degli articoli in cui si suggerisce ai traduttori di fare una proposta editoriale a un editore. Pensi sia davvero una buona idea farlo oppure si rischia il tipico "Grazie, le faremo sapere."? Ne hai mai fatta una? Se sì, è stata accolta? Se no, conosci qualcuno che ce l'ha fatta?

Non ne ho mai fatta una e non credo di farne a breve. Di solito le case editrici sono ben al corrente del trend editoriale futuro e di tutte le novità degli altri mercati stranieri, è molto difficile imbattersi in un capolavoro che sia sfuggito all’attenzione degli scout. Forse può funzionare nel caso di lingue poco conosciute, ma non certo per i romanzi in inglese. Conosco alcuni colleghi che ne hanno fatte e qualcuna è stata accolta, ma sono casi particolari e di solito sono proposte ben mirate, rivolte a case editrici medio piccole.

Lavori anche come traduttrice per AmazonCrossing. Sappiamo che hanno una sezione dove è possibile caricare il proprio CV ma c'è anche la possibilità di essere contattati direttamente da loro. Raccontaci la tua esperienza.

La mia collaborazione con AmazonCrossing è un po’ atipica perché non ho caricato il mio CV sulla loro piattaforma né sono stata contattata direttamente, ma lavoro con loro tramite un service editoriale, che funge da intermediario. Di solito mi propongono dei romanzi, faccio una prova di traduzione per vedere se la mia è la “voce” giusta per il romanzo e, se la mia prova piace, mi assegnano il lavoro. Una delle cose che apprezzo di più di AmazonCrossing è il nome del traduttore in copertina, un’attenzione al nostro lavoro che ben poche case editrici italiane ci riservano.

Sei stata anche traduttrice e adattatrice testi per la Flashbook Edizioni. Come lo sei diventata e cosa comporta lavorare su un manga rispetto alla traduzione di un romanzo?

Lo sono diventata con l’aneddoto che ho raccontato prima, dimostrando interesse per il loro lavoro e amore per i manga che pubblicavano. Tradurre fumetti o romanzi sono due cose diverse, ognuna con le sue particolarità, ma che hanno anche alcuni punti in comune. Nei fumetti hai una gabbia da rispettare, non puoi eccedere in frasi troppo lunghe che non ci starebbero nei baloon, anche gli a capo delle parole diventano importanti. In più c’è la difficoltà di associare un testo alle immagini. Se c’è un gioco di parole che in italiano si traduce in un certo modo, ma che poi non c’entra nulla con quello che è raffigurato nella vignetta, devi trovare un modo diverso di renderlo, a costo di stravolgere quello che c’era nell’originale. Ma imparare a rendere bene i dialoghi nei fumetti mi ha aiutata tanto a migliorare anche la mia resa dei dialoghi nei romanzi.

Negli ultimi anni stiamo assistendo anche alla pubblicazione di libri stranieri in italiano senza il classico editore. Sono gli autori stessi che contattano un traduttore oppure usano Babelcube. Hai mai sentito parlare di questo fenomeno e in particolare di Babelcube? Si tratta di una piattaforma che mette in contatto autori e traduttori. Tutti lavorano con le royalties. Accetteresti di iscriverti? Se no, perché?

A Babelcube mi sono iscritta diverso tempo fa, quando era ancora agli esordi, per curiosità, per capire che tipo di mercato ci potesse essere, e per capire come funzionava, ma non ho mai contattato nessuno per propormi come traduttrice perché ritengo che lavorare esclusivamente con le royalties non sia sufficiente come introito. Magari mi sbaglio, magari si può guadagnare bene, ma trovare il romanzo giusto che abbia buone possibilità di coprire il costo del mio lavoro come traduttrice è davvero difficile. In più, per quanto io mi impegni per consegnare traduzioni al meglio delle mie capacità, so che è necessario un lavoro di revisione, che spesso manca nelle traduzioni di Babelcube e questo fa arrivare sul mercato traduzioni scadenti, molto letterali, a volte con palesi errori di comprensione o di grammatica e sintassi italiana. Può essere però un buon trampolino per esordienti, per farsi un po’ le ossa e costruirsi un CV. Ma se manca la figura di un revisore, manca anche un punto di riferimento che possa insegnarti quali errori evitare e come migliorarti, cosa che per me è stata essenziale all’inizio e lo è tutt’ora. Credo che prenderei in considerazione di lavorare con Babelcube solo per arrotondare in tempi in cui il lavoro scarseggia, cosa che, lavorando da freelance, ogni tanto capita.

Se questo tipo di pubblicazione diventasse sempre più diffuso, pensi che gli Editori non avrebbero più ragione di esistere o rimarrebbe solo una pubblicazione alternativa?

Penso invece che l’editore rimanga una figura importante, un filtro necessario tra gli autori e il pubblico per presentare prodotti confezionati al meglio. Certo, con la crisi dell’editoria forse non tutti gli editori lavorano come si dovrebbe e ci ritroviamo con libri tradotti male, pieni di refusi e poco curati anche in libreria, ma in linea di massima l’editore dovrebbe essere una figura che garantisce un certo livello di qualità. Inoltre conosco tantissime persone che tutt’oggi non leggono e-book o che comprano esclusivamente in libreria, quindi ritengo che ci voglia ancora molto tempo prima che l’auto-pubblicazione soppianti totalmente l’editoria tradizionale.

E per concludere, quali sono i tuoi progetti futuri?

Per i progetti a breve termine, consegnare entro le scadenze delle buone traduzioni dei romanzi che mi sono già stati assegnati quest’anno, per il lungo termine invece voglio continuare a migliorarmi, magari con dei corsi di aggiornamento o seminari specifici, perché in questo lavoro non si finisce mai di studiare e imparare.

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